
Sui siti web, libri, giornali e riviste vengono elargiti consigli a tutto spiano alle vittime di bullismo e ai genitori su come difendersi dai bulli ma l’unico consiglio che dovrebbe essere preso in considerazione non viene mai dato:
praticare sport, e in particolar modo, le arti marziali.
Ciò a cui si mira con i bambini che frequentano i corsi di QWAN KI DO è esattamente la prevenzione:
lo scopo non è quello di praticare le arti marziali per poter acquistare forza fisica e "ripagare i bulli con la loro stessa moneta" ma, anzi, lo scopo è acquisire la giusta fiducia in sé stessi, ed il necessario equilibrio interiore per potersi sottrarre alle sopraffazioni. Al contempo i potenziali bulli trovano, nella scuola marziale, quelle regole che canalizzano l'aggressività, l'agitazione e hanno modo di interiorizzare il rispetto di sé stessi e del prossimo, la modestia, l'umiltà, il valore della cooperazione con i compagni e della crescita condivisa.
Ma perché le arti marziali possono essere realmente d’aiuto?
Il Qwan Ki Do innanzitutto, lavora sull’autostima, sulla capacità di controllare rabbia e aggressività ed insegna che le arti marziali sono una disciplina e una filosofia da apprendere attraverso allenamento, lavoro e sacrificio.
Le arti marziali insegnano il silenzio, la dignità, l’ubbidienza, il rispetto nei confronti dei compagni, del maestro e del mondo. Insegnano a muovere il corpo e a sopportarne l’immobilità.
L’allievo si posiziona «in basso» nei confronti del Maestro e questa attitudine reverenziale è una parte essenziale dell’apprendimento. Senza rispetto nei confronti della disciplina, del Maestro e del luogo, non c’è evoluzione possibile. Dal rispetto scaturisce naturalmente la gratitudine per gli insegnamenti ricevuti.
Gratitudine, un valore quasi dimenticato nella nostra società, di cui molti esperti di crescita personale hanno compreso il valore.
Sempre più spesso sono i genitori stessi, a scuola o nello sport, a sminuire insegnanti ed educatori, opponendosi alle misure prese da essi nei confronti dei propri figli. In questo modo si mina il rispetto verso l’autorità, incoraggiando il bambino a non sottostare alle regole, a ribellarsi fin dalla più tenera età, facendolo sentire al di sopra di tutto. Un errore dettato dall’amore che andrà a ripercuotersi proprio sul bambino stesso, e sull’uomo che sarà. Il tema dell’aggressività, quindi della competitività, è legato agli aspetti motivazionali della pratica sportiva, e ciò è particolarmente vero in atleti in età evolutiva, come bambini, adolescenti.
Prima di essere atleti, infatti, questi bambini sono esseri umani che stanno crescendo, che stanno maturando cioè “costruendosi” da un punto di vista psichico e fisico ed è per questo motivo che noi educatori non possiamo dimenticare la necessità di valorizzare anche lo sviluppo della capacità ad esprimere la propria aggressività.
E’ dimostrato che praticare un’arte marziale può avere una funzione educativa nel promuovere un rapporto più sano tra i giovani e l’aggressività; per far questo non posso non considerare l’adolescenza come un ponte tra l’infanzia e l’età adulta. Ed è proprio in questo periodo che l’aggressività svolge diverse funzioni psicologiche:
prima tra queste è marcare il proprio distacco da una posizione di dipendenza da figure più grandi (genitori, fratelli maggiori) segnando così un cammino verso l’autonomia. In secondo luogo, l’aggressività in adolescenza è un modo per farsi notare dagli altri, per non passare inosservati, per lasciare il proprio segno.
Qual è il nostro ruolo di insegnanti di Arti marziali in tutto questo?
Educare significa portare i giovani ad esprimere le proprie potenzialità; ma ad esprimerle in modo che conoscano equilibrio, misura e consapevolezza della presenza degli altri.
Tranquillamente si potrebbe affermare che l’aggressività, essendo una funzione psicologica che serve alla traslazione da una fase della nostra vita ad un'altra, è di per sé una funzione sana.
Tale funzione sana potrebbe, però avere una svolta patologica che è appunto il “BULLISMO”.
Nei ragazzi che attuano tali comportamenti, vi è il ricorso all’aggressività per sottrarsi alla dipendenza del mondo adulto per competere con i propri coetanei; ma l’utilizzo dell’aggressività, senza un contenitore che la limiti o la controlli, sfocia in un risultato unicamente distruttivo per l’ambiente, per i coetanei e per gli stessi bulli. L’aggressività che ritroviamo nel “bullo” è un’ aggressività senza controllo, che non ha regole, che non subisce un adeguato controllo da parte di soggetti più adulti.
In questa prospettiva, i nostri corsi di Qwan Ki Do possono essere, anzi, devono essere, un luogo dove la carica dei nostri ragazzi sia compresa, valorizzata, lasciata esprimere, ma anche regolata. Un luogo dove la loro voglia di “combattere” e di prevalere può essere accolta, perché l’uomo è anche essere competitivo.
Allo stesso tempo la palestra deve essere un luogo dove viene chiesto di assumersi la responsabilità di farlo in un determinato modo. Il “combattimento” che proponiamo nelle nostre palestre, insegna a non barare, a non cercare facili scorciatoie, ad imporre a sé stessi di agire in modo corretto e leale, valori che l’allievo deve portarsi dentro e rispecchiarle anche nella vita di tutti i giorni.
La mente umana capisce quello che viene detto attraverso le parole ma ancor di più impara attraverso la pratica di chi realmente conosce, crede, dimostra ciò che insegna. Questa disciplina insegna ed educa secondo regole precise che, a livello fisico, si concretizzano nell’ esecuzione di tecniche all’ interno delle quali forma, ritmo, potenza, coordinamento e respirazione.